Ha vinto tutto tranne il titolo mondiale che Franz Beckenbauer gli soffiò nella finale di Monaco 1974, è stato l'ambasciatore splendido inquieto del calcio della nuova frontiera, quello che aveva abiurato le specializzazioni di ruolo e le suggestioni delle bandiere; un calcio più mercenario che sentimentale, più atletico che salottiero. Ha fatto grandi l'Ajax e l'Olanda che prima di lui non avevano trovato posto sulla ribalta internazionale e che da lui sono stati proposti come modelli al mondo intero. Ha conquistato la Spagna e le americhe. È stato fra i pochissimi fuoriclasse epocali ad essere anche un grande allenatore; un campione senza etichette e senza limiti, veloce come il lampo con una perfetta tecnica di base, il senso del comando e del collettivo, l'istinto del gol, precoce e longevo, un fenomeno.
Quando nasce ad Amsterdam nei tribolati anni del dopoguerra Johan Cruijff sembra generato dal dio del calcio. A 10 anni entra nelle giovanili dell'Ajax; è alto e sottile come un giunco, elegantissimo nella falcata, inappuntabile nel palleggio, ma fragile. Vic Buckingham un inglese che allena il prestigioso club degli ajacidi, ne intuisce le qualità e se ne prende cura personalmente: allenamenti specifici in palestra con i pesi e il piccolo Johan, senza perdere l'agilità e la rapidità delle movenze, mette su un fisico di ferro. A 14 anni vince il suo primo titolo nella categoria ragazzi, a 17 conquista il posto da titolare in prima squadra, a 19 debutta in nazionale firmando subito un gol contro l'Ungheria. Non si riesce a trovargli un modello, è il prototipo di una nuova generazione. È un attaccante ma senza posizione fissa, svaria, retrocede, riparte a velocità doppia, il suo scatto da fermo è micidiale, la progressione irresistibile. Approda all'Ajax Marinus Michels che pretende giocatori giovani per un calcio dispendioso. Vuole abolire le posizioni fisse in campo e costruisce una squadra intercambiabile; nasce il calcio totale, Cruijff il giovane profeta accanto a una schiera di coetanei che si chiamano Neeskens, Keizer, Krol, Suurbier e Rep tutti racchiusi in un quadriennio, dalla classe 1947 di Cruijff al 1951 anno di nascita di Neeskens e Rep. Michels il duro lascia il posto al più permissivo Kovacs, santone rumeno che allunga le redini sul collo dei suoi fuoriclasse e ottiene un gioco ancora più brillante perché affidato all'estro dei suoi interpreti. L'Olanda diventa la nuova sensazione del calcio e Cruijff è il suo riferimento, è un leader naturale, all'occorrenza spietato. Con Johan sul podio l'Ajax vince tre consecutive coppe dei campioni, una Intercontinentale, una Supercoppa Europea nonché 5 campionati e tre coppe d'Olanda. Lui si aggiudica tre edizioni del Pallone d'Oro.
Nel 1973, l'anno precedente l'appuntamento mondiale, abbandona ad un colpo Ajax e Olanda per incassare i miliardi del Barcelona. Con la squadra catalana, di cui diventa l'idolo, vince al primo colpo Liga e Copa del Rey, segnando gol memorabili, ma fallisce il vero appuntamento della sua carriera il titolo mondiale del '74. Gioca un torneo superbo ma sbaglia la finalissima dove il mastino Berti Vogts lo porta fuori dal gioco con le buone e le cattive. La delusione lo segna; nei successivi europei del '76 lascia definitivamente la nazionale ritenendo i 25.000 fiorini offertigli dalla federazione olandese quasi un'offesa. Con la maglia arancione ha giocato 48 partite e segnato 33 gol. Nel 1978, a 31 anni, decide che anche il Barcelona, dove pure vive da sovrano, gli va stretto. L'America è il suo nuovo Eldorado; Los Angeles, Cosmos, Washington... Ogni anno una nuova squadra è un ingaggio più alto.
Tornato in Olanda, gioca due anni all'Ajax vincendo altri due campionati e una Coppa d'Olanda, quindi chiude ai rivali storici del Feyenoord vincendo L'ultimo titolo nazionale. A 37 anni finalmente chiude.
Chissà se è stato Cruijff a cambiare il calcio o se è stato soltanto il migliore interprete di un gioco in ogni caso destinato a toccare nuove sponde.
Adalberto Bortolotti
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